Nella sua testimonianza, datata 28 aprile 1943, Yossl narra come abbaia visto morire intorno a sé la moglie e i cinque figli…

memoria 995841_784278741589279_1125413633_n
tra cui Rohele, bambina di dieci anni, a cui i nazisti e i loro collaborazionisti polacchi hanno sfondato la testa, perché si era avventurata fuori dal ghetto a cercare pane raffermo nella spazzatura. Tutto ciò che ha subito, ha mutato il suo rapporto con Dio, ma non la fede in Lui, e aggiunge come l’unica parziale consolazione sia la vendetta, infatti non nega il piacere che ha provato quando è riuscito a bruciare vivi sei invasori in un carro armato: «Il carro prese subito fuoco, e sei nazisti avvolti dalle fiamme si precipitarono fuori dall’abitacolo. Ah se bruciavano! Bruciavano come gli ebrei che avevano incenerito, ma urlavano molto più di loro.
Gli ebrei non gridano, accolgono la morte come una liberazione.
Il ghetto di Varsavia muore combattendo, muore sparando, lottando, bruciando, ma no, non gridando!». Yossl fa notare la significativa differenza tra il Dio ebreo e il Dio cristiano: il suo è il Dio della vendetta, nella cui legge abbondano le minacce di morte anche per le più piccole colpe, ma bastava che il Sinedrio, il più alto tribunale d’Israele, pronunciasse una sola condanna a morte, affinché si potesse gridare assassini a giudici; al contrario il Dio dei popoli, il Dio dell’amore, ha comandato di amare ogni essere a sua immagine, ma nel suo nome gli ebrei vengono assassinati senza pietà, giorno dopo giorno, da duemila anni. Egli afferma che si vergognerebbe di appartenere ai popoli che hanno generato e cresciuto gli scellerati responsabili dei crimini compiuti contro il popolo ebraico; per questo è fiero di essere ebreo, infatti l’ebreo è un eroe, un martire, un santo: «non vi è popolo più eletto di uno sempre colpito». Quindi Yossl sottolinea come continui a credere in Dio (anche se ha fatto di tutto perché non credesse più in lui), alle sue leggi (anche se non può giustificare i suoi atti), però il suo rapporto con Lui non è più quello di uno schiavo verso il padrone, bensì di un discepolo verso il proprio maestro.

Comunque egli non esita a rivolgere a Dio una serie di domande, che pesano in lui come un macigno: «Tu dici che abbiamo peccato e perciò veniamo puniti, ma esiste al mondo un colpa che meriti un castigo come quello che ci hai inflitto? Tu dici che ripagherai i nostri nemici con la stessa moneta, ma esiste al mondo una punizione che possa far espiare il crimine commesso contro di noi? Hai nascosto il Tuo colto, abbandonando gli uomini ai loro istinti: che cosa deve nuovamente accadere perché Tu mostri nuovamente il Tuo volto al mondo? Noi torturati, disonorati, soffocati, noi sepolti vivi e bruciati vivi, noi oltraggiati, scherniti, derisi, noi massacrati a milioni abbiamo il diritto di sapere: dove si trovano i confini della Tua pazienza?». Per cui Yossl afferma che è giunto il momento per Dio di perdonare coloro che si sono allontanati da Lui nella disgrazia e nella fortuna, poiché i vigliacchi non si puniscono ma si compatiscono. Allora egli chiede a Dio di non punire i rapinatori, poiché essi non temono né Dio né gli uomini, ma i subdoli ladri, in quanto essi temono gli uomini e non Dio; praticamente Dio non deve punire gli assassini, i nazisti, perché alla fine si annienteranno tra loro, bensì i loro fiancheggiatori: «Coloro che condannano il massacro a parole, ma ne gioiscono in cuor loro. […] Quanti esprimono simpatia per chi affoga, ma non muovono un dito per salvarlo».

Per Yossl è giunto il momento di compiere il suo piano suicida contro il nemico, eppure dichiara: «Muoio tranquillo, ma non appagato, colpito ma non asservito, amareggiato, ma non deluso, credente, ma non supplice, colmo d’amore per Dio, ma senza rispondergli ciecamente “amen”». Infine Yossl ci offre una conclusione bellissima e terribile al tempo stesso:

«Mio Dio colmo d’ira hai fatto di tutto perché non avessi più fiducia in Te, perché non credessi più in Te, io invece muoio così come sono vissuto, pervaso di un’incrollabile fede in Te. Sia lodato in eterno il Dio dei morti, il Dio della vendetta, della verità e della giustizia, che presto scuoterà le fondamenta con la sua voce onnipotente. Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno. Nella tua mano, Signore, affido il mio spirito».

Il testo di Zvi Kolitz si apre con questa frase, scritta sul muro di un cantina di Colonia, dove alcuni ebrei si nascosero per tutta la durata della Seconda Guerra Mondiale:

«Credo nel sole, anche quando non splende; credo nell’amore, anche quando non lo sento; credo in Dio, anche quando tace».
(YOSSL RAKOVER SI RIVOLGE A DIO)

Precedente Le bugie alla lunga frantumano i rapporti... Successivo “Se Dio esiste dovrà chiedermi perdono” ...