“Se Dio esiste dovrà chiedermi perdono” …

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Un’espressione laconica su una parete di quella prigione dannata che fu Auschwitz.
Un graffito anonimo. Un graffio su un muro. Un graffio in un’anima. In troppe anime. Un graffio firmato dal silenzio di chi vide la propria esistenza umiliata oltre l’inimmaginabile. Non ha bisogno di commenti. Il 27 gennaio millenovecentoquarantacinque i cancelli di Auschwitz spalancarono l’orrore e lo mostrarono agli occhi del mondo.
E ora le parole mancano, perché percepite come inadeguate. Guardo questo foglio quasi sperando che si riempia da solo in qualche modo. Cancello e riscrivo nell’assoluta certezza di sfiorare la retorica. E mi scuso con chi non potrà mai leggere questa inadeguatezza. Mancano a me le parole, mancano a noi che non c’eravamo. Ma c’è una mancanza che si carica di significati profondi quando è attribuita a chi visse quell’orrore. “Allora per la prima volta ci siamo accorti che la nostra lingua manca di parole per esprimere questa offesa, la demolizione di un uomo”. Primo Levi, nel suo tristemente celebre “Se questo è un uomo”. Mancavano anche a lui che sopravvisse alle torture del lager. Mancavano a lui che percepiva tra le parole che conosceva e l’esperienza vissuta uno scarto non quantificabile, un discrimine irriducibile. Smettono a questo punto i miei fallimentari tentativi di riflessione, inadeguati come le parole che non trovo.
Affido a questo foglio bianco i pensieri di chi visse l’orrore sulla propria pelle. “Meditate che questo è stato”.
A noi rimane solo l’obbligo morale di non ignorare quella vergogna, affinché quei crimini indicibili non vengano affidati ad un mortificante oblio.

“Questo è l’inferno. Oggi, ai nostri giorni, l’inferno deve essere così, una camera grande e vuota, e noi stanchi di stare in piedi, e c’è un rubinetto che gocciola e l’acqua non si può bere, e noi aspettiamo qualcosa di certamente terribile e non succede niente e continua a non succedere niente. Come pensare? Non si può più pensare, è come essere già morti. Qualcuno si siede per terra. Il tempo passa goccia a goccia”.

Se Dio esiste dovrà chiedere perdono a ciascuno di loro. Ventisettegennaioduemilaquattordici.
(web)

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